Onorevoli Colleghi! - L'articolo 49 della Costituzione pone la questione del metodo democratico con il quale i partiti concorrono a determinare gli indirizzi della politica nazionale.
      La presente proposta di legge - che riprende i contenuti della proposta di legge atto Camera n. 598 della XIV legislatura, che a sua volta si rifaceva ai progetti di legge presentati rispettivamente dall'onorevole Mancina e altri (atto Camera n. 5326) e dal senatore Salvi e altri (atto Senato n. 3954) nella XIII legislatura - si propone di dare attuazione al dettato costituzionale e di rendere democratico, appunto, il modo in cui i partiti concorrono a determinare gli indirizzi della politica nazionale.
      Negli anni che abbiamo alle spalle, l'attenzione e il dibattito pubblico si sono, pur se a fasi alterne, soffermati sulla crisi della politica e sulla difficoltà che i partiti incontravano nel funzionare da raccordo e da mediazione tra società e istituzioni. La stessa speranza che il passaggio a un sistema di elezione prevalentemente maggioritario producesse da sé un effetto di riordino e di rigenerazione del sistema partitico è stata in parte delusa. Infatti l'affermazione del bipolarismo - che per i cittadini e le cittadine italiani rappresenta, un punto di non ritorno - non ha impedito, né impedisce fenomeni di frammentazione e di degenerazione nel sistema politico.
      La funzione dei partiti politici - contrariamente a quanto afferma la generica polemica antipartitocratica - è essenziale nell'evoluzione contemporanea delle moderne società pluraliste, purché regolata o

 

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autoregolata in forme autenticamente democratiche aperte al controllo dell'opinione pubblica se non della legge.
      È quindi necessario proporre un nuovo patto tra partiti e cittadini, nel quale i partiti rinunciano a una parte del loro arbitrio, subordinandosi a regole certe e trasparenti, rendendo pubblici i loro statuti oltre che i loro bilanci. Il ragionamento sotteso è che la essenziale funzione democratica dei partiti non può essere semplicemente presunta, o peggio rivendicata con arroganza, ma richiede che i partiti siano effettivamente e autenticamente soggetti democratici. Sembra quindi che sia oggi opportuno riaprire la vexata quaestio della disciplina giuridica del partito politico, anche in considerazione del fatto che, dopo la classica discussione sul tema, quando solo la Germania aveva compiuto questa scelta con l'articolo 21 della legge fondamentale, e poi con la legge del 1967, altri Paesi europei, come la Spagna e il Portogallo, hanno deciso in questo senso.
      È ben noto che l'articolo 49 della Costituzione fa cenno alla libertà di associarsi in partiti e al «metodo democratico» della vita politica, ma non fa alcun riferimento alle forme della vita interna dei partiti. Dal dibattito che ebbe luogo in seno alla Costituente risulta che il problema fu posto, ma si scelse di non intervenire su questo aspetto, per il timore che si arrivassero a definire una indebita ingerenza e un pericoloso criterio di esclusione. Si ricordi, in particolare, l'emendamento Mortati che proponeva: «Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna e nell'azione diretta alla determinazione della politica nazionale». Nella seduta del 22 maggio 1947, poi, l'onorevole Moro, se da una parte ribadì l'importanza di non porre limiti alle finalità perseguite dai partiti, per evitare il rischio di decisioni arbitrarie «sulla base del presunto carattere antidemocratico del loro programma», dall'altra, in accordo con Mortati, propose la costituzionalizzazione del vincolo democratico interno, sulla base della considerazione che se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere un indirizzo democratico nell'ambito della vita politica del Paese.
      La linea proposta dall'onorevole Moro è la stessa del Costituente spagnolo del 1978, che - pur rifacendosi in larga parte al modello della legge fondamentale di Bonn del 1949 - recepirà, nell'articolo 6, il solo vincolo interno per i partiti («La loro struttura interna ed il loro funzionamento dovranno essere democratici»), e non il vincolo della «democraticità esterna» dei fini perseguiti, che a Bonn era stato inserito in polemica con il recente passato nazista e nel quadro anticomunista generato dalla guerra fredda. La proposta di Moro non fu tuttavia adottata dalla Costituente e il riferimento alla democrazia interna rimase assente dall'articolo 49 della Costituzione. Peraltro, non era previsto allora un finanziamento pubblico dei partiti, né qualunque controllo sui bilanci, anche per lo scambio di complicità tra chi era massicciamente finanziato dall'Unione sovietica e chi lo era, altrettanto massicciamente, dalla CIA o dai sindacati americani. La successiva sentenza della Corte costituzionale tedesca, che nel 1956 escluse dalla legalità il partito comunista, oltre a quello nazista, non fece che confermare le riserve e i timori.
      Oggi le cose stanno in modo molto diverso. Anzitutto, non ci sono più partiti che non intendano darsi forme democratiche: il timore dell'esclusione ha perso ragione di esistere. Inoltre, la presenza di un finanziamento pubblico, molto contestato dall'opinione pubblica, ma insistentemente riproposto dal Parlamento (e senza dubbio con buone ragioni), mette in discussione la difesa a oltranza della natura privatistica dell'associazione-partito. E, considerazione questa ancora più importante, la cultura dei nostri tempi non ammette che ci siano luoghi separati e privati in cui si forma un potere che è poi destinato ad esercitarsi nelle istituzioni pubbliche.
      Per più di cinquant'anni la discussione giuridica e politologica si è esercitata sul dilemma tra natura privata e funzione
 

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pubblica dei partiti. Due aspetti che sono ambedue contenuti nell'articolo 49 della Costituzione. Di certo, la «determinazione della politica nazionale», che è - attraverso il concorso con metodo democratico - la finalità del libero associarsi dei cittadini in partiti, è una funzione pubblica. Essa può svolgersi in partiti non democratici? Nei termini del dibattito alla Costituente: può darsi metodo democratico nell'attività esterna dei partiti se essi non hanno una struttura democratica della loro vita interna?
      Ancora con altre parole: può darsi democrazia «dei» partiti senza democrazia «nei» partiti?
      «Affinché i cittadini riescano davvero ad influenzare la politica nazionale, a concorrere a determinarla, occorre che le loro esigenze e le loro preferenze trovino una sede adeguata di ricezione e traduzione all'interno dei partiti. Il problema della democrazia nei partiti è, dunque, inesorabilmente insito nella formulazione dell'articolo 49 ed è comunque, prepotentemente esploso nel corso della pratica di competizione politica negli anni successivi e fino ad oggi» (G. Pasquino, articolo 49, in Commentario della Costituzione, Bologna 1992).
      La presente proposta di legge si prefigge di rilanciare la funzione democratica dei partiti attraverso una disciplina giuridica che leghi la struttura democratica al finanziamento, senza tuttavia restringere la libertà di associazione politica prevista dall'articolo 49 della Costituzione e senza trasformare l'associazione-partito in organo dello Stato. Sviluppando quella posizione intermedia, tra l'ispirazione più privatistica e l'ispirazione più organicistica, che è riscontrabile già nell'articolo 49, essa intende non già proporre statuti-tipo, ma disciplinare «le condizioni minime del rispetto del principio del concorso e del metodo democratico», lasciando all'autonomia statutaria la definizione della struttura degli organi interni, i sistemi di elezione dei dirigenti, eccetera; e inoltre regolamentare «quelle attività del partito che più direttamente incidono sul funzionamento delle istituzioni (...) attraverso la disciplina delle procedure interne per la scelta dei candidati» (P. Ridola, Partiti politici, in Enciclopedia del Diritto, volume XXXII, Milano 1982).
      Essa dunque non si propone di istituire un controllo sui fini dei partiti né sulla struttura sostanziale dei loro organi, ma propone un'esigenza di democrazia procedurale e di regole certe per la formazione di quella volontà politica che si esprime nell'azione esterna del partito. Con ciò non si pretende di ridefinire lo status giuridico dei partiti, ma semplicemente di legare il loro finanziamento, in ogni sua forma, ai requisiti democratici minimi così individuati.
      Si prevede perciò che gli statuti dei partiti siano resi pubblici secondo peculiari modalità e che il loro contenuto regolamenti gli essenziali aspetti del metodo democratico nella vita interna ai partiti. Non si tratta di una pubblicizzazione dei partiti, che sarebbe in contrasto con il diritto di associarsi liberamente che l'articolo 49 della Costituzione riconosce ai cittadini: i partiti restano infatti associazioni di diritto privato non riconosciute, ma sono tenuti, qualora intendano usufruire dei rimborsi e di ogni altra elargizione o beneficio normativi, ad adottare uno statuto conforme ai criteri legislativamente indicati.
      L'altra innovazione che la proposta di legge introduce concerne la fissazione di regole per lo svolgimento di elezioni primarie. Non si tratta di obbligare partiti e coalizioni a scegliere questo metodo di selezione delle candidature, ma di incentivare, attraverso il finanziamento, tale scelta.
      Infine, quella che si presenta è una proposta di legge in sintonia con le iniziative volte a favorire la presenza femminile nella vita politica. Non solo perché tra i criteri che si indicano per gli statuti dei partiti sono previste norme volte a far sì che un sesso non prevalga sull'altro, ma perché è più facile che un sistema di selezione della classe dirigente fondato sul merito favorisca l'accesso delle donne alla politica. Negli altri ambiti della società è così. Negli altri ambiti della società, quando le regole sono chiare, sono tante le
 

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donne che vincono. Con la presente proposta di legge si vuole avvicinare la politica al resto della società.
      La proposta di legge interviene su tre profili, individuabili in base ai tre capi in cui si è suddivisa.
      Il capo I (articoli 1-3) stabilisce che i partiti devono avere statuti pubblici e ne indica i caratteri democratici che devono essere obbligatoriamente presenti.
      In particolare, l'articolo 1 fa riferimento alla costituzione dei partiti politici.
      L'articolo 2 riguarda tempi e modalità di approvazione e di pubblicazione dello statuto.
      L'articolo 3 ha ad oggetto il contenuto minimo degli statuti per i partiti che intendono ottenere i benefìci previsti dalla legge e la ripartizione delle risorse finanziarie tra gli organi centrali del partito e le sue articolazioni territoriali, con possibilità di ricorso agli organi di garanzia.
      Il capo II (articoli 4-9) disciplina la selezione della candidature, cioè la principale funzione svolta dai partiti nella loro qualità di organizzatori della democrazia, prevedendo la consultazione degli iscritti o - facoltativamente - lo svolgimento di elezioni primarie tra gli elettori e le elettrici.
      In particolare, l'articolo 4 norma le elezioni primarie assicurando piena parità agli aspiranti candidati. Per i partiti che scelgono di non promuovere le elezioni primarie è prevista la consultazione obbligatoria tra gli iscritti e le iscritte, secondo modalità liberamente rimesse agli statuti dei partiti.
      L'articolo 5 riguarda le modalità di svolgimento delle elezioni primarie e le condizioni per la loro validità.
      L'articolo 6 ha ad oggetto la partecipazione alle elezioni primarie con particolare riferimento agli aventi diritto.
      L'articolo 7 disciplina le modalità di presentazione delle candidature alle elezioni primarie.
      L'articolo 8 stabilisce che gli statuti prevedano l'istituzione di un comitato di garanti che vigila sull'organizzazione e lo svolgimento delle elezioni primarie e procede alla definizione di una rosa di nomi. Prevede inoltre le modalità di costituzione dei seggi elettorali.
      L'articolo 9 prevede l'applicabilità degli articoli 4, 5, 6 e 7 anche alle coalizioni che si presentano alle elezioni con propri candidati e candidate.
      Il capo III (articoli 10-11), infine, interviene sul finanziamento.
      L'articolo 10 introduce un incentivo per i partiti che scelgano di promuovere elezioni primarie, stabilendo un incremento del 10 per cento sulla quota di rimborso elettorale prevista dalla legge 3 giugno 1999, n. 157. Si propone, inoltre, un incremento - dal 5 al 10 per cento - della quota di finanziamento da destinare a iniziative volte alla partecipazione femminile alla politica.
      L'articolo 11 riguarda la destinazione volontaria del 4 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, contestualmente alla dichiarazione dei redditi, ma su una scheda separata, e dunque anonima, al fine di garantire la riservatezza. Il 4 per mille viene devoluto non genericamente a tutti i partiti, ma a ciascun partito sulla base delle indicazioni pereferenziali effettuate dai contribuenti.
 

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